Nella sala 7, che è la prima di una serie dedicata all’agricoltura, è possibile osservare un plastico rappresentativo della vita contadina abruzzese. Base dell’alimentazione delle popolazioni mediterranee fin dal neolitico, i cereali ed in particolar modo il grano, costituiscono il fulcro del ciclo agricolo annuale. Nel plastico si possono osservare alcune fasi della produzione della farina, realizzata attraverso strumenti e metodi rimasti pressoché immutati dalla preistoria.
Aratura e semina
La prima operazione da svolgere era l’aratura dei campi che, prima della rivoluzione industriale, era assolta principalmente dal lavoro manuale sopportato da animali da tiro.
Dopo l’aratura si procedeva con la semina che avveniva tradizionalmente a “spaglio”, cioè attraverso il lancio di semi che il seminatore prendeva da una tracolla. Egli procedendo con passo regolare, spargeva le sementi descrivendo con il braccio un arco sempre uguale.
Mietitura e trebbiatura
Una volta che le messi erano mature si procedeva alla mietitura, che, fino agli anni ‘40-’60 del secolo scorso, veniva realizzata a mano con la falce. Nella prima vetrina ci sono alcune falci, esemplari di ditali di canna per proteggere le dita mentre si falciava, e il portacote, un corno agganciato alla cintura che conteneva, immersa in un po’ d’acqua la cote, cioè la pietra usata per affilare la falce. Nel plastico si possono osservare inoltre alcuni fasci di spighe raccolte che venivano legati con steli di paglia intrecciati, per formare i covoni (manuocchje o manuoppele), i quali si tenevano sul campo ad essiccare fino al momento della trebbiatura.
Questa veniva effettuata attraverso il calpestio degli animali o battendo le spighe con attrezzi adeguati. Il primo, il più antico prevedeva la sistemazione delle spighe in grandi mucchi, sui quali si facevano camminare ripetutamente muli, asini o buoi in senso circolare: la pressione degli zoccoli faceva fuoriuscire i chicchi. Il secondo sistema che si basava sulla battitura di mucchi di spighe con il correggiato (mazzafruste), un attrezzo formato da due bastoni collegati ad un’estremità tramite un legaccio di corda o di cuoio o un anello di ferro: uno, che fungeva da manico, veniva impugnato e sollevato, facendo roteare l’altro che andava a percuotere violentemente le spighe.
Ventilazione e pulitura
Il grano ammucchiato sull’aia andava separato da tutte le impurità che vi si erano ancora mescolate: pezzi di spighe, pula, sassolini. In un primo momento il grano veniva lanciato in aria, con delle apposite forche e pale di legno: in questo modo, la pula era portata via dal vento ed i chicchi, più pesanti, ricadevano a terra.
Seguiva la crivellazione, cioè il passaggio del grano attraverso setacci sempre più fini: se ne può osservare uno di forma circolare costituito da un telaio di legno che veniva sospeso ad un treppiedi di legno. Infine, il grano veniva lavato e messo ad asciugare su teli stesi davanti casa.
Vita nei campi
Avversità climatiche, infestazioni di parassiti ed animali nocivi, minacciavano costantemente il buon esito dei raccolti. Per evitare ciò, venivano utilizzati degli spaventapasseri o deterrenti acustici.
Nel plastico, inoltre, possiamo ammirare la ricostruzione delle tipiche dimore. Nel resto della sala, si possono osservare gli oggetti descritti nel plastico. In una delle pareti della sala sono presenti gli attrezzi più importanti: l’erpice e l’aratro, ma anche lo strumento più antico e versatile usato nel mondo contadino fin dal neolitico, la zappa. Sono visibili anche le misure per i cereali e tutti gli attrezzi che servivano per conservare ed utilizzare il grano.
Nella sala ci sono inoltre le testimonianze delle pratiche di difesa dei campi dagli animali nocivi adatte a scongiurare la devastazione dei raccolti: trappole, tagliole e le corna di montone usate come amuleti.